Osmolarità plasmatica: esame per individuare squilibri elettrolitici

L’effetto di tale ormone è quello di provocare un incremento del riassorbimento dell’acqua tramite i tubuli distali che si trovano nel rene. I valori normali sono quelli che sono compresi tra 275 e 295 mOsm/L.

Tra le varie malattie che sono responsabili di un incremento della osmolarità plasmatica troviamo l’uremia e l’iperglicemia. Non solo, visto che ci sono anche diabete insipido, iperlattacidemia e ipernatriemia. Una diminuzione dell’osmolarità, invece, può derivare dalla presenza nel paziente di iponatriemia.

Il regolatore più importante dell’osmolarità plasmatica è rappresentato dal rene. Quest’organo, infatti, ha la capacità di produrre delle urine che possono essere più o meno diluite. Ovviamente tale valore è diverso in base al fabbisogno omeostatico del corpo umano. Nel settore idrico extracellulare l’osmole di maggior importanza corrisponde al sodio. Nel comparto idrico intracellulare, invece, è in netta prevalenza il potassio.

Osmolarità plasmatica efficace e complessiva

L’osmolarità plasmatica efficace, detta anche tonicità, non si riferisce a quella complessiva. Bisogna sottolineare come solo quelle molecole che non si possono muovere in libertà tra le membrane semipermeabili hanno una conseguenza principale. Ovvero quella di provocare dei movimenti dell’acqua dalla soluzione maggiormente concentrata fino a quelle con minore concentrazione. Ci sono altre tipologie di molecole, invece, come ad esempio l’urea, che agiscono in maniera differente.

Da un certo punto di vista favoriscono comunque al raggiungimento dell’osmolarità e di conseguenza sono liberamente permeabili mediante le membrane. D’altra parte, per le loro caratteristiche non hanno le capacità per realizzare dei gradienti di acqua. L’urea, quindi, penetra facilmente all’interno della barriera cellulare. Ecco spiegato il motivo per cui non può determinare movimenti d’acqua ai lati della membrana.

Osmolarità plasmatica in calo o in aumento

Quando l’osmolarità plasmatica aumenta, spesso la causa deriva da un incremento dei livelli di sodio che si trovano all’interno del sangue. Tale condizione prende il nome di ipernatriemia. Questo soluto dovrà chiaramente subire una maggiore diluizione. Nel caso opposto ci sarebbe un movimento d’acqua a partire dal comparto intracellulare verso quello extracellulare. La conseguenza principale corrisponderebbe alla disidratazione della cellula.

Gli osmocettori ipotalamici, che vengono stimolati da parte dell’ipersodemia, favoriscono lo stimolo della sete. Di conseguenza, anche l’aggiunta di acqua farà in modo di riequilibrare l’osmolarità plasmatica. Al tempo stesso, si verifica il rilascio dell’ormone antidiuretico, detto anche ADH. Quest’ultimo svolge la sua attività a livello dei reni. Infatti, va a favorire il riassorbimento dell’acqua e, al contempo, fa calare anche l’eliminazione di acqua con le urine. Le urine, invece, incrementano la loro osmolarità. Il rene è in grado di portare tali valori fino a 1200 mOsM/L. Al contempo, ha la capacità anche di abbassarli fino a 50 mOsM/L, in base al fabbisogno dell’organismo.

Esame dell’osmolarità del sangue

Il test dell’osmolarità del sangue si riferisce a quelle particelle che sono attive dal punto di vista osmotico. Come ad esempio le proteine o i carboidrati che sono presenti all’interno del siero. L’obiettivo di tale esame è quello di trovare dei possibili disequilibri a livello di fluidi oppure di elettroliti. Questo esame viene impiegato per controllare lo stato di idratazione di un paziente. Al tempo stesso, è utile anche per valutare la concentrazione delle urine, e la quantità di ADH secretato. Inoltre, serve per valutare gli stati di iponatriemia, legati a deficit di sodio con perdite tramite le urine oppure ad un incremento dei fluidi ematici. In alcuni casi viene impiegato anche come vero e proprio esame tossicologico.

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