Epatite autoimmune: tipologie, diagnosi e terapie

L’epatite autoimmune si caratterizza per essere una malattia cronica che insorge per colpa di una sorta di rigetto del fegato che deriva dal corpo del paziente. Infatti, è lo stesso sistema immunitario che va a scagliarsi nei confronti del fegato, dopo averlo individuato come un corpo estraneo.

Epatite autoimmune forme

Le forme di epatite autoimmune che sono maggiormente diffuse si possono dividere in tre tipologie. Il tipo 1 si caratterizza quello che colpisce più frequente i pazienti che soffrono di tale patologia, mentre il tipo 2 è quello positivo per anticorpi microsomiali fegato-rene e, infine, il tipo 3 si caratterizza per il fatto di essere positivo per altre tipologie di autoanticorpi. Il livello di gravità della patologia dipende da un buon numero di fattori, ma soprattutto è legato all’età in cui si è manifestata per la prima volta l’epatite autoimmune, piuttosto che alla tipologia di autoanticorpi che vengono individuati.

Epatite autoimmune soggetti a rischio

L’epatite autoimmune va a colpire in modo particolare le donne (la percentuale si aggira intorno all’80%). Questa patologia si manifesta con maggiore frequenza nei soggetti che hanno un’età compresa tra 50 e 70 anni, ma quando si sviluppa in maniera precoce, c’è la possibilità che arrivi ad una forma ancora più aggressiva e difficile da curare. Nei soggetti più anziani invece, c’è la possibilità di gestire molto meglio i vari sintomi legati all’insorgenza dell’epatite autoimmune.

Epatite autoimmune sintomi

I più importanti e diffusi sintomi dell’epatite autoimmune possono essere piuttosto leggeri o, in alcuni casi, particolarmente fastidiosi e dolorosi. Ecco spiegato il motivo per cui giungere nel più breve tempo possibile ad una diagnosi corretta è molto importante. In tanti casi, infatti, c’è la possibilità che l’epatite autoimmune venga confusa con un’epatite virale o un’epatite provocata da farmaci. Il sintomo maggiormente diffuso è la fatigue, ovvero un senso generale di stanchezza e di spossatezza. Tra gli altri sintomi troviamo nausea, vomito, angioma stellato, dolori che colpiscono le articolazioni e l’addome, sfoghi cutanei, prurito, ittero, un ingrossamento del fegato, mancanza di appetito, una colorazione più scura delle urine e una colorazione più chiara o tendente al grigiastro delle feci. Nei soggetti che devono affrontare uno stadio decisamente grave delle malattia c’è la possibilità che tra i sintomi ci siano anche confusione mentale e ascite.

Epatite autoimmune diagnosi

La diagnosi di questa patologia viene eseguita a partire dai sintomi, anche se poi spesso il medico prescrive degli esami del sangue completi e una biopsia epatica. È molto importante anche andare a controllare il valore degli enzimi epatici, in modo tale da capire meglio quali caratteristiche abbia l’epatite in corso. Ci sono altri test, decisamente più precisi e specifici, che permettono di dare un’adeguata conferma della diagnosi stilata in un primo tempo, come ad esempio la ricerca degli autoanticorpi. In riferimento all’epatite autoimmune, gli autoanticorpi di cui si va alla ricerca sono quelli ANA, gli LKM1 e gli SMA.

Epatite autoimmune complicazioni

Diversi pazienti che soffrono di epatite autoimmune possono ben presto essere colpiti da cirrosi, anche nel caso in cui il trattamento farmacologico sia già stato iniziato da qualche settimana. Circa la metà dei pazienti nota anche un incremento di peso per colpa delle terapie farmacologiche messe in atto e, in qualche caso, ci può essere ipertensione. Gli steroidi sono in grado di portare a diabete o osteoporosi, ma spesso le dosi che vengono prescritte sono molto lievi, in modo tale da escludere questa possibilità.

Epatite autoimmune terapie

L’epatite autoimmune è una patologia cronica del fegato che, spesso, viene curata con un trattamento farmacologico che permette di diminuire o addirittura annullare del tutto il comportamento anomalo del sistema immunitario. I farmaci maggiormente impiegati sono i corticosteroidi, così come l’azatioprina viene impiegata spesso in associazione e consente anche di ridurre la dose della prima categoria di farmaci. Nel corso della prima fase di trattamento vengono prescritte delle dosi piuttosto elevate di steroidi per fare in modo di gestire in maniera più veloce tale patologia. Con il passare del tempo e il miglioramento dei sintomi la dose dei steroidi può essere ridotta notevolmente. I pazienti che non riescono a ottenere risultati positivi con tali farmaci spesso vengono curati con agenti immunosoppressivi, come ad esempio la ciclosporina, il tacrolimus o il micofenolato mofetile. Nel caso in cui la patologia progredisca sempre di più, c’è la possibilità anche di effettuare il trapianto di fegato.

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