Morbo della mucca pazza: la malattia che terrorizzò il mondo

Ben prima del Sars Covid  e dell’influenza suina e aviaria un altro morbo si è contraddistinto in Europa  per aver creato allarmismo dettato dalla sua rapida trasmissibilità.

C’è stato un tempo nel quale il consumo di carne bovina era visto con molto sospetto per via di un morbo che creò un acceso dibattito nei governi europei. Drastici furono gli abbattimenti dei consumi delle carni provenienti dalle mucche, così come interi allevamenti furono decimati sostanzialmente per via di alcuni animali risultati positivi.

Bovino come portatore del morbo della mucca pazza
Bovino e morbo della mucca pazza (pixabay) – Inran.it

Il nome specifico della malattia è Encefalopatia spongiforme bovina (Bse) che dalla fine degli anni novanta e, ancor di pù con l’arrivo del nuovo millennio procurò preoccupazione e a tratti panico considerato che quella di bovino è  in cima alla lista delle carni più apprezzate e consumate.

Fortunatamente già dai primi anni del  duemila il morbo ha subito un fortissimo ridimensionamento tanto che i casi accertati negli ultimi quindici anni sono meno di venti. C’è da dire inoltre che la sua scoperta risale ancor prima negli anni. Agli inizi degli anni ottanta, a partire dalla Gran Bretagna, ci si accorse che in numerosi allevamenti alcuni gruppi di bovini manifestavano sintomi “inspiegabili” che, rapidamente li portavano al decesso. Solo quando nel decennio successivo fu notata la stessa sintomatologia anche in alcuni esseri umani, la patologia fu approfondita e studiata nel dettaglio.

Il morbo debellato e dimenticato

Carne bovina morbo mucca pazza
Morbo della mucca pazza nella carne bovina (Foto Canva – inran.it)

Arriviamo così al 1997 quando fu consegnato il premio Nobel a Stanley Prusiner  per le ricerche e le scoperte effettuate sul morbo di Creuzfeld-Jakob, la variante che colpiva gli esseri umani e stretta parente morbo della mucca pazza. Le cure erano ancora però parzialmente efficaci e da qui il diffuso e crescente allarmismo dell’epoca. Ma l’intera attenzione riguardante questa faccenda fu focalizzata sulla trasmissibilità della malattia dall’animale all’uomo. In particolare l’obiettivo era ridurre la possibilità che la patologia potesse effettivamente raggiungere e contagiare l’essere umano.

Obiettivo numero uno: impedire la trasmissione della patologia

bovino e morbo mucca pazza
Carne bovina e trasmissione del morbo della mucca pazza (Canva) Inran.it

Tornando alle scoperte del premio Nobel  Stanley Prusiner una in particolare fu determinante rispetto alle alle altre. Ciò che emerse fu che  il contagio era  causato dalla carne contaminata nella quale erano presenti tracce di materia cerebrale. Fu chiaro che poi l’uomo in generale aveva una resistenza maggiore alla malattia, ma ciò non significava che nei casi più gravi questa patologia non potesse causare seri e gravi sintomi.

Il passo successivo a quel punto fu bandire la diffusione ed il consumo di farine animali negli allevamenti e, a macellazione non ancora avvenuta, abolire il contatto con tutte le parti del corpo capaci di veicolare la patologia dagli animali all’essere umano: in primis il cranio, la colonna vertebrale e l’intestino. La strategia risultò vincente tanto che in Italia, ad esempio, su milioni di bovini sottoposti a test ne risultarono positivi non più di un centinaio. Questo per sottolineare come al fine di una risoluzione di un problema ciò che fa davvero la differenza è la strategia di fondo e la possibilità di attuarla in maniera generalizzata e coerente.

Jacopo Ioannilli

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