Aria italiana: arriva l’allarme dei pneumologi

L’esser esposti sistematicamente all’inquinamento, potenziato dai cambiamenti climatici che causano il  ristagno dell’aria, sta cominciando ad essere una problematica molto seria.

Inquinamento problema pericoloso
Inquinamento dell’aria  (Canva)

L’intera zona del nord Italia, soprattutto nell’area centro-orientale, fa parte di quel gruppo di regioni, all’interno dell’ Unione Europea, con le più elevate concentrazioni di particolato, a causa dell’utilizzo intensivo del carbone per il riscaldamento e, ancor più la produzione industriale. Il carbone e i fumi della produzione industriale non sono, ovviamente, prerogativa del nord Italia, con un impatto inquinante che in alcune zone europee e mondiali è anche superiore. Nell’intera pianura padana però c’è una caratteristica che permette a queste sostanze inquinanti di rimanere per più tempo nei strati inferiori dell’atmosfera e quindi assorbite e respirate per giorni e settimane.

Le cause sono per lo più orografiche e meteorologiche. Per orografia del territorio intendiamo le caratteristiche e la struttura di questa porzione d’Italia. Schiacciata tra più catene montuose, l’Italia settentrionale è una vera e propria conca. Le uniche correnti che riescono ad attraversare la pianura padana sono quelle provenienti da est, dalla “porta della bora“. A nord, ad ovest, e a sud sono presenti le Alpi e l’Appennino che fungono da sbarramento per le correnti d’aria. La scarsissima circolazione dei venti agevola notevolmente il ristagno degli inquinanti vicino al suolo. Questa condizione di mancanza di riciclo dell’aria comincia ad essere sempre più persistente e, la causa va ricercata nella mancanza di piogge degli ultimi anni. In altri termini,  più inquiniamo più respiriamo l’effetto del nostro inquinamento.

L’allarme lanciato dalla Società Italiana di Pneumologia

inquinamento dell'aria
Inquinamento ambientale (foto Pixabay)

Secondo la società scientifica, le ricerche vagliate, mostrano una solida correlazione tra l’inquinamento,  i ricoveri e l’ incidenza della mortalità per malattie al sistema respiratorio. La Società Italiana di Pneumologia – Italian Respiratory Society –  è giunta a questa conclusione incrociando i dati tra molti studi sul tema condotti in Italia.

Nello specifico ciò che si evince dagli studi è che l’esposizione cronica e costante al particolato Pm10 aumenta di 2,96 volte il rischio di sviluppare problematiche al sistema respiratorio in particolare ai bronchi e, ancor più nel particolare, l’esser costantemente esposti al  Pm 2.5 aumenta di 4,17 la probabilità di esser coinvolti a problemi legati all’espettorato cronico. (fonte Ansa)

La certezza è chiaramente che una situazione come questa sul lungo periodo è sicuramente nociva per il nostro apparato respiratorio. L’UE in questo senso ha concesso otto anni di tempo agli Stati membri, i quali devono rientrare nei nuovi parametri, che saranno ufficialmente attuati dal 1 gennaio 2030. Tutti questi valori dovranno essere rivisti a partire dal 2028, a seconda anche delle nuove conoscenze a disposizione. L’obiettivo è quello di allinearsi alle direttive dell’OMS prima di metà secolo. E’ chiaro che, come sottolineato dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, il prezzo da pagare sarebbe un colpo durissimo per la produttività della Pianura Padana. In termini numerici in ballo ci sono il 75% delle attività produttive, tre quarti dei veicoli che oggi circolano ed infine rischiano di chiudere anche il 75% degli allevamenti e delle attività agricole del territorio senza contare che almeno il 60% dei nostri riscaldamenti diverrebbero non a norma. Un conto certamente salatissimo per l’area più produttiva d’Italia ma, qualcosa andrà certamente rivisto in termini di emissioni inquinanti. Un sostegno economico da parte dell’Unione Europea per il passaggio da un’industria inquinante ad una sostenibile, potrebbe alla fine essere il compromesso giusto.

Jacopo Ioannilli

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