Segnali precoci di Parkinson: potrebbero essere collegati all’intestino

Un nuovo studio porterebbe a collegare i segnali precoci del morbo di Parkinson ad alcuni disturbi intestinali: i dettagli.

Alcune nuove scoperte potrebbero confermare una connessione tra l’intestino e il cervello, suggerendo che alcuni problemi intestinali potrebbero essere dei chiari segnali del morbo di Parkinson.

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Dottoressa che aiuta una paziente affetta dal morbo di Parkinson (foto da Canva) – Inran.it

Già da diverso tempo gli scienziati stanno approfondendo il legame che c’è tra il cervello e l’intestino. Ora, emerge una nuova scoperta che potrebbe aiutare migliaia di persone. Lo studio è stato condotto negli Stati Uniti ed ha coinvolto un campione vastissimo (più di 90 mila persone). Vediamo insieme quali sono i risvolti di questa importante ricerca.

Parkinson: i segnali dell’intestino non vanno sottovalutati

Il morbo di Parkinson è una malattia che colpisce moltissime persone ogni anno. Si sviluppa soprattutto con l’avanzare dell’età e peggiora sempre di più durante il corso del tempo.

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Ricercatore che inserisce del liquido in una provetta (foto da Canva) – Inran.it

In particolare, si tratta di una patologia neurodegenerativa che coinvolge la sfera motoria e non. Si ha difficoltà a camminare, scrivere, a restare in equilibrio, si manifestano tremori e tutta una serie di sintomi anche molto gravi, come: sbalzi di umore, perdite di memoria, disturbi del sonno, difficoltà nel risolvere problemi e disturbi anche al sistema nervoso autonomo. Come ben sappiamo, il Parkinson non si può curare, ma le terapie mirano a rallentare la malattia e a lenire la sintomatologia.

Per questa ragione, accorgersi presto dei primi segnali può migliorare moltissimo la qualità di vita dei pazienti. Il nuovo studio, pubblicato su diverse riviste scientifiche (qui uno degli articoli della pubblicazione), suggerirebbe che alcuni segnali precursori del Parkinson potrebbero manifestarsi a livello intestinale. Andando più nello specifico si tratta di sintomi come stitichezza, diarrea e sindrome dell’intestino irritabile.

I risultati dello studio: il legame tra microbiota intestinale e morbo di Parkinson

I ricercatori durante lo studio hanno monitorato i pazienti per diversi anni. Coloro che presentavano disturbi intestinali avevano più probabilità di ammalarsi di Parkinson rispetto ai soggetti che non soffrivano di sintomi legati all’intestino. Infatti, circa l’80% delle persone che soffrono di Parkinson manifestano patologie gastrointestinali, nausea, vomito e diarrea.

Questo nuovo studio quindi conferma ulteriormente che sintomi non motori come ansia, depressione e stitichezza possono interagire insieme al microbiota intestinale, contribuendo ad un disturbo che si manifesta nella relazione tra microbiota, intestino e cervello, che può essere collegato alla malattia di Parkinson.

Nell’intestino, infatti, ci sono moltissime cellule nervose che comunicano in modo diretto con il nostro cervello. Quindi, gli studiosi credono che queste cellule possano peggiorare i sintomi intestinali correlati al Parkinson e, allo stesso tempo, diventare un campanello d’allarme per le persone che non hanno ancora una diagnosi.

Nuove terapie per il Parkinson

L’obiettivo, dopo questa scoperta, è quello di condurre ulteriori ricerche per sviluppare terapie che possano agire sulla malattia di Parkinson a livello intestinale, così da essere utilizzati come trattamenti preventivi o che possano rallentare la progressione della malattia.

Naturalmente, non si può diagnosticare il morbo di Parkinson solo per u disturbo intestinale, bisogna fare diversi esami e constatare che ci siano anche molti altri sintomi. I più comuni sono depressione, disturbi del sonno, tremori, perdite di memoria e molti altri che solo un medico può collegare al morbo di Parkinson.

Questo e molti altri studi in corso sono importantissimi per diagnosticare in modo precoce il Parkinson e per sviluppare terapie che leniscano i sintomi. Questa malattia colpisce milioni di persone in tutto il mondo, crea dei danni irreversibili ai pazienti e ne compromette la qualità della vita, dunque è importante che la ricerca non si fermi e vada sempre avanti, portando sempre a nuovi risultati.

Aurora De Santis

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