Colesterolo “buono”: i casi nei quali diventa cattivo

Un professore di Harvard ha spiegato come il colesterolo “buono” non sempre è buono, ecco i casi a cui bisogna fare quindi attenzione.

colesterolo cattivo
Sangue (AdobeStock)

Ci viene insegnato che il colesterolo “buono” (HDL) trasporta quello cattivo (LDL) via dalle arterie e lo porta al fegato, dove le LDL vengono scomposte. Recentemente i ricercatori hanno sviluppato un farmaco che dovrebbe aumentare la quantità dell’HDL nel sangue. Tuttavia, successivamente, non fatto uscire nel mercato perché aveva degli effetti collaterali. A riportare il fatto che il il colesterolo buono non sempre è buono, è un professore di Harvard.

Per decenni, quando si tratta di rischio di malattie cardiache, siamo stati istruiti sul fatto che le LDL possono intasare le pareti delle arterie e che il colesterolo buono o HDL aiuti a eliminare il colesterolo dal sistema. La ricerca sui farmaci per aumentare l’HDL ha portato alla luce risultati deludenti: non sono riusciti, infatti, a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Per questo motivo non sono mai approdati sul mercato farmaci di questo tipo.

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Colesterolo buono e la ricerca di Harvard

ricerca colesterolo
Scienziata (Unsplash)

Presso l’Università di Harvard, un gruppo di ricercatori, ha studiato 16 delle circa 200 sottospecie HDL potenzialmente diverse definite dalle proteine e hanno scoperto che mentre alcune sono associate a un rischio ridotto di malattie cardiovascolari, come ci si aspetterebbe, alcune non mostrano alcuna associazione o sono addirittura associate a un rischio aumentato. In particolare, hanno riscontrato che HDL che contiene una proteina chiamata apolipoproteina C3 (apoC3) è associata ad un rischio maggiore di malattie cardiovascolari, tra cui ictus e infarto, e diabete di tipo 2.

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Una delle cose più importanti emerse dallo studio, è sottolineare la necessità di imparare di più sulle sottospecie HDL per scoprire quali funzioni svolgono le proteine del colesterolo. L’HDL non funge solo da trasportatore,  ha anche azioni antinfiammatorie, antiossidanti, immunologiche e altre che influenzano il rischio di malattia. La ricerca perciò continua, anche se i primi risultati non sono stati incoraggianti, i ricercatori di Harvard sono più motivati che mai.

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