Solitudine: quali effetti ha sul cervello e come è in grado di modificarlo

La solitudine è un’emozione che entra in gioco in determinanti momenti, ma quali sono gli effetti che questa condizione può provocare sul cervello? Scopriamoli insieme.

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Cellule nervose (Pixabay)

La solitudine è una condizione che a volte ricerchiamo quando abbiamo bisogno di riflettere e di stare da soli con noi stessi, ma a volte ci piomba addosso come una sorta di maleficio.

La maggior parte delle persone vive in maniera negativa questa condizione, accusando sintomi di malessere per il fatto di sentirsi esclusi dall’ambiente sociale di appartenenza. I sintomi possono essere sia di tipo fisico che mentale, come la depressione e il senso di isolamento, che possono suscitare emozioni come la tristezza.

Questa condizione può però avere anche degli effetti sul cervello, perché è in grado di modificarlo. Cerchiamo di capire in che modo e come.

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Gli effetti della solitudine sul cervello

Se il bisogno di stare da soli è una cosa positiva e del tutto ricercata, la condizione di solitudine viene definita in psicologia come qualcosa di negativo, in grado di farci sentire lontani dal mondo e dai nostri simili. Quando ciò avviene, si possono manifestare effetti sul corpo ma anche sul cervello.

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Donna da sola su una banchina (Pixabay)

Nella parte posteriore del nostro cervello esiste infatti un’area, chiamata nucleo dorsale del rafe, in grado di rappresentare questa condizione. Questa zona è fondamentale per stimolare la socialità in tutti quei soggetti che per lungo tempo si sono trovati a dover fare i conti solo con se stessi.  Questa scoperta la dobbiamo a uno studio realizzato su un topo che è stato isolato per 24 ore.

Del topo è stato misurato il livello di attività delle cellule presenti nel nucleo dorsale del rafe. I dati ottenuti hanno dimostrato una maggiore attività in questa zona quando l’animale si è ricongiunto con i propri simili. Quando invece si trovava da solo, ma anche prima di essere stato isolato, i neuroni presenti in questa regione non risultavano molto attivi. Inoltre, dopo l’isolamento il topo si è dimostrato più socievole rispetto a prima.

Oltre a modificare queste cellule, la solitudine è anche in grado di aumentare nel cervello le concentrazioni di una molecola in grado di alimentare la paura e comportamenti aggressivi. Anche in questo caso ciò si è visto grazie a uno studio condotto su un topo da un team di ricerca presso la California Institute of Technology. Dai risultati è emerso che dopo l’isolamento c’è stato un aumento nel topo di neurochina B, ossia la proteina in grado di causare comportamenti aggressivi associati all’isolamento.

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Quello che è emerso a seguito di questi studi vale anche per l’uomo. Magari te ne sarai reso anche tu, ripensando ora ai tuoi comportamenti durante il periodo di lockdown e quello immediatamente successivo. Ecco, dunque, che queste scoperte possono sicuramente servire per mettere a punto nuove strategie per affrontare questa condizione.

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