Kintsugi: la cultura giapponese ci insegna che anche le cose “rotte” possono essere preziose

Avete mai sentito parlare del Kintsugi? Questa forma di arte giapponese si configura come una vera e propria lezione di vita: ecco cos’è.

Kintsugi
La forma d’arte del Kintsugi (fonte foto Canva)

Nella società occidentale improntata all’individualismo e finalizzata alla scalata al successo, l’ansia da prestazione è un sentimento molto comune. La paura di fallire, frutto dell’ossessione della perfezione, ci fa spesso sentire inadeguati, incapaci, non all’altezza. La cultura giapponese ha una visione del mondo ben diversa: niente è durevole, finito, perfetto. Ecco come l’arte del Kintsugi può aiutarci a riconsiderare ciò che ci accade con maggior comprensione e indulgenza.

Cos’è l’arte del Kintsugi

Arte giapponese
Vaso riparato con l’oro (fonte foto Canva)

In una società consumista, basata sulla logica dell’usa e getta, può sembrare tutt’altro che scontato: non necessariamente qualcosa che si rompe perde il suo valore.

L’idea di fondo del Kintsugi è proprio questa: si tratta di una antica e suggestiva forma d’arte basata sul recupero di oggetti rotti e danneggiati, che vengono riparati utilizzando una mistura composta da lacca e oro in polvere o, più raramente, argento.

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Il termine Kintsugi, infatti, letteralmente significa “riparare con l’oro”. Questa affascinante forma artistica ha avuto origine nel periodo Muromachi (1336-1573).

Ashikaga Yoshimasa, militare giapponese e ottavo shōgun dello shogunato Ashikaga, ruppe una delle sue tazze. L’oggetto venne affidato ai ceramisti che, seguendone le linee di rottura, assemblarono insieme tutti i pezzi.

Il risultato fu notevolmente apprezzato da Yoshimasa: non solo la sua tazza era stata riparata, ma aveva acquisito una nuova vita, risultando completamente unica e inconfondibile.

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La filosofia dietro l’arte del Kintsugi

Il Kintsugi riflette una vera e propria filosofia di vita, che affonda le sue radici nelle concezioni Zen. Essa, infatti, richiama tre assunti:

  • L’importanza di lasciar correre e non farsi sopraffare dalle preoccupazioni;
  • La necessità di accettare la transitorietà dell’esistenza per un approccio sereno e consapevole alla vita;
  • L’individuazione della bellezza anche dietro la decadenza.

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In questi termini, il Kintsugi pone in una prospettiva diversa quelli che consideriamo i nostri fallimenti.

Anziché nascondere i nostri insuccessi e lasciarci divorare dal senso di inferiorità esercitato da pressioni esterne insostenibili, questa filosofia di vita ci insegna a concepire le nostre debolezze come opportunità da valorizzare e da cui trarre un insegnamento.

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Perché in fondo, come cantava l’indimenticabile Leonard Cohen “C’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce“.

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